Non sono moltissime le organizzazioni che si stanno preoccupando di comprendere come le nuove generazioni si immaginano il proprio futuro lavorativo. Io ho avuto l’opportunità di condurre dei focus group per una lungimirante azienda multinazionale che lo ha chiesto sia a degli Z che a degli Y.
Questa esperienza mi ha condotto a fare un confronto fra i valori dei nostri ragazzi e di quelli americani descritti da Jean Twenge, psicologa della San Diego State University nota per le sue ricerche sui Millenials.
Le sue conclusioni in “Iperconnessi” sono che gli IGEN (terminologia con cui la Twenge si riferisce ai giovani nati a partire dal 1995 ) hanno fondamentalmente bisogno di rassicurazioni e di sentirsi protetti, diventano adulti più tardi, sono meno indipendenti, hanno bisogno di istruzioni accurate e di guide. Afferma inoltre che “vogliono sapere se seguiranno un chiaro percorso professionale” e che “ciascuno di loro vuole lasciare il segno, non essere soltanto una rotella dell’ingranaggio”.
E gli Z “nostrani”? Attraverso il focus group hanno affermato che nel loro futuro mondo del lavoro, ai primi tre posti ci sono: realizzare il proprio sogno utlizzando le competenze acquisite, esprimere opinioni e creatività senza la paura di un giudizio da parte di altri, lavorare in squadra e progettare insieme. Le loro preoccupazioni? Il non avere garanzie di un lavoro sicuro e il dover lasciare l’Italia, in parte, dicono, a causa dell’ inarrestabile automatizzazione del lavoro.
Per quanto riguarda la tecnologia, questa resta un Giano bifronte: mentre la considerano una naturale presenza nelle professioni ed organizzazioni, hanno forti dubbi sul fatto che reti ed infrastrutture in Italia siano all’altezza delle necessità.
E coloro che già lavorano? Dal focus group con gli Y già inseriti nel mondo lavorativo da qualche anno è emerso che utilizzare le proprie competenze o essere protagonisti non sono (più) valori ed interessi prioritari. I TOP 5 sono: flessibilità d’orario, crescita professionale, benessere psico-fisico, ambiente di lavoro piacevole (clima e relazioni), sicurezza economica di base.
Questa ricerca sul campo dei nostri Y conferma inoltre le risultanze di un recente studio Universum sugli obiettivi di carriera dei Millenial italiani. La possibilità di sperimentare ed essere creativi si attesta agli ultimi posti delle loro preferenze.
Cosa è successo alla generazione che voleva cambiare le regole del gioco? Si tratta di una fisiologica evoluzione dei soggetti nel passaggio da status “studente” a “lavoratore” o, malgrado le nostre buone intenzioni e molteplici sforzi, non siamo riusciti a bloccare l’omologazione, la conformazione ad una cultura aziendale che ha avviato ma non ha ancora completato il cambiamento verso un ambiente che premia l’innovazione accettando anche il fallimento a questa propedeutico?
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